Certificati di Credito del Tesoro (CCT): guida completa

I CCT (Certificati di Credito del Tesoro) sono titoli di Stato a medio-lungo termine emessi dal Ministero dell’Economia e delle Finanze (MEF) per finanziare il debito pubblico italiano. Hanno scadenza standard di sette anni (introduzione dal 1991) e pagano cedole semestrali indicizzate a un tasso variabile. Prima del 1991 le emissioni dei CCT avevano scadenze diversificate dai 2 ai 10 anni​, ma dal 1991 in poi vengono regolarmente emessi titoli settennali. Le cedole si aggiornano ogni sei mesi in base all’indice di riferimento (attualmente l’Euribor a 6 mesi) e a uno spread prefissato in fase di emissione.

Origini ed evoluzione dei CCT

I primi CCT furono emessi nel 1981 con scadenza triennale, ma la configurazione moderna è stabilita con i decreti di marzo 1991: da allora la scadenza è fissata a sette anni​. In questa forma i CCT sostituiscono in parte altri titoli a medio termine, offrendo allo Stato uno strumento flessibile per raccogliere finanziamenti a interessi variabili. Nel tempo è cambiato anche il metodo di indicizzazione. Fino al 2010 il tasso di interesse variava legato ai rendimenti di BOT semestrali, mentre dal 2010 in poi i nuovi CCT (detti CCTeu) sono indicizzati all’Euribor a 6 mesi​. Questo significa che oggi la cedola semestrale di un CCT dipende dall’Euribor 6m rilevato periodicamente, a cui si somma lo spread fissato al momento dell’emissione.

Finalità di emissione

Lo scopo principale dei CCT è finanziare il fabbisogno statale. Come spiega la letteratura ufficiale, con i CCT il Tesoro può reperire risorse fresche a medio termine, diversificando le scadenze del debito pubblico e gestendo la spesa per interessi in modo dinamico. Non a caso, sebbene i volumi emessi siano tradizionalmente inferiori a quelli dei BTP (Buoni Poliennali del Tesoro) e dei BOT (Buoni Ordinari del Tesoro), i CCT costituiscono comunque “una parte non indifferente del debito pubblico italiano”​. In altre parole, questi titoli rivestono un ruolo significativo nel mix di strumenti con cui l’Italia finanziò il suo debito. Le emissioni di CCT avvengono tipicamente con scadenza annuale di nuovi titoli e con riaperture mensili di titoli esistenti​, permettendo al Tesoro di modulare l’offerta in base al fabbisogno e alle condizioni di mercato.

Come funzionano i CCT

Durata e cedole

I CCT ordinari hanno durata fissa di sette anni. Durante questo periodo ogni sei mesi l’investitore riceve una cedola di interesse. Le cedole sono semestrali e pagate posticipatamente (ovvero alla fine del semestre). Il valore di ogni cedola è pari al tasso semestrale variabile calcolato sull’ammontare nominale del titolo. In pratica, l’investitore presta al Tesoro una somma (taglio minimo 1.000 €) e riceve due volte all’anno un interesse variabile​. Alla scadenza finale dei 7 anni lo Stato rimborsa il capitale iniziale per intero (“al valore nominale” o “alla pari”), indipendentemente dal prezzo pagato in acquisto.

Calcolo dei rendimenti

Il meccanismo di calcolo delle cedole è descritto nei dettagli dalle autorità competenti. In sintesi, per ciascun periodo semestrale si procede così: due giorni lavorativi prima della data di pagamento della cedola si rileva il valore dell’Euribor a 6 mesi alle ore 11:00​. A questo tasso di riferimento (arrotondato al terzo decimale) si aggiunge lo spread stabilito in sede di emissione. Si ottiene così il tasso annuo lordo di interesse; tale tasso viene poi convertito in base semestrale tenendo conto dei giorni effettivi del periodo (anno commerciale 360 giorni).

Ad esempio, secondo un calcolo illustrato dal sito di Borsa Italiana, se il valore dell’Euribor a 6 mesi risulta pari allo 0,108% e lo spread concordato è 0,70%, il tasso annuo lordo dell’obbligazione risulta 0,808%, corrispondente a uno 0,411% semestrale​. Quel valore semestrale moltiplicato per il valore nominale del titolo dà il rendimento lordo di quel semestre. Poiché la cedola è variabile, il rendimento effettivo di un CCT non è noto a priori: dipende dall’andamento di Euribor nel corso del tempo. In ogni caso, chi acquista il titolo in asta o sul mercato saprà che il rendimento finale al termine dei 7 anni includerà le cedole percepite più l’eventuale differenza tra prezzo di acquisto e valore di rimborso.

Emissione e mercato secondario

Le nuove emissioni di CCT avvengono tramite aste marginali gestite dalla Banca d’Italia​. In genere vi è un’asta ogni mese (solitamente di riapertura di titoli esistenti) e una più importante con cadenza annuale per emettere nuovi titoli. Gli investitori istituzionali partecipano alle aste tramite intermediari autorizzati. Il prezzo di emissione è determinato in asta e può essere maggiore o minore di 100 (rispetto a 100 di valore nominale), determinando rispettivamente un premio o uno scarto di emissione. Di norma titoli con durata maggiore hanno prezzi di emissione più bassi​. Il taglio minimo acquistabile è di 1.000 euro, rendendo i CCT accessibili anche al risparmiatore privato.

Dopo l’emissione, i CCT sono negoziabili sul mercato secondario. In Italia si scambiano principalmente sul MOT (Mercato Telematico Obbligazionario) per importi anche piccoli (fino a poche migliaia di euro), e sul circuito MTS per i grandi volumi istituzionali​. Ciò garantisce liquidità: il risparmiatore che ha acquistato un CCT non è obbligato a detenerlo fino alla scadenza, ma può rivenderlo sul mercato. Tuttavia, vendere prima della scadenza implica sottostare alle condizioni di prezzo prevalenti in quel momento, che possono riflettere variazioni dei tassi di interesse o del rischio percepito.

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Tassazione dei CCT

Dal punto di vista fiscale, i CCT beneficiano di un regime agevolato analogo a quello degli altri titoli di Stato. L’aliquota d’imposta sulle rendite finanziarie derivanti da CCT è del 12,5%​, nettamente inferiore alla tassazione ordinaria sui redditi da capitale (attualmente 26%). L’imposta sostitutiva del 12,5% si applica come ritenuta alla fonte sulle cedole lorde incassate ogni sei mesi e, al momento del rimborso a scadenza, sullo scarto di emissione (cioè sulla differenza tra il prezzo di emissione e il valore di rimborso pari)​. In pratica, chi detiene un CCT pagherà il 12,5% di tasse sui proventi percepiti, sia dalla cedola che dall’eventuale plusvalenza da sconto. Questo meccanismo rende il rendimento netto del titolo pari a circa l’87,5% di quello lordo.

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Aliquota e imposta sostitutiva

Riassumendo, il trattamento fiscale dei CCT è il seguente: le cedole semestrali subiscono subito una ritenuta del 12,5%; lo scarto di emissione (se positivo) viene tassato alla scadenza al 12,5%. Non esistono scaglioni o aliquote progressive sui titoli di Stato: l’imposta è unica e sostitutiva​. Grazie a questa aliquota ridotta, i CCT risultano più convenienti fiscalmente rispetto ad altri strumenti (come i conti deposito con imposta al 26% o le obbligazioni societarie allo stesso 26%). Ciò costituisce uno dei vantaggi per l’investitore conservatore.

Vantaggi e rischi per l’investitore

Vantaggi

I CCT offrono alcuni elementi di interesse per gli investitori di lungo periodo. Innanzitutto, la natura a tasso variabile fornisce una certa protezione rispetto ai titoli a tasso fisso in uno scenario di rialzo dei tassi di interesse. Se il mercato richiede rendimenti maggiori (ad esempio a causa di inflazione in aumento o politica monetaria restrittiva), l’Euribor tende a salire e di conseguenza crescono anche le cedole future dei CCT. Ciò significa che il rendimento dei nuovi CCT riflette puntualmente l’andamento dei tassi di mercato. In questo senso, i CCT possono essere considerati uno strumento difensivo se si teme un rialzo dei tassi: mantengono il valore del capitale più stabile rispetto a un BTP a tasso fisso di pari durata, perché il maggior rendimento futuro è già incassato attraverso cedole più alte.

Un altro vantaggio è la liquidità: come detto, i CCT sono trattati sui mercati MOT e MTS, quindi è possibile acquistarli o venderli anche sul secondario. Ciò conferisce flessibilità all’investitore. Inoltre, i CCT hanno tagli minimi ridotti (solitamente 1.000 €), agevolando anche il piccolo risparmiatore. Dal punto di vista fiscale, beneficiano dell’aliquota agevolata del 12,5% sui rendimenti, che aumenta il rendimento netto rispetto a investimenti tassati più pesantemente. Infine, avendo scadenza relativamente breve (7 anni), i CCT comportano una volatilità di prezzo inferiore rispetto ai BTP di lungo periodo. In pratica, i prezzi dei CCT subiscono fluttuazioni minori quando i tassi di interesse cambiano, un aspetto apprezzato da investitori prudenti.

Rischi

Da un lato però i CCT non sono privi di rischi. Va ricordato innanzitutto il rischio di credito: benché la probabilità di default dello Stato italiano sia considerata bassa, non è zero. Il rendimento dei CCT (come di qualsiasi Titolo di Stato) dipende essenzialmente dall’affidabilità del debitore: se l’Italia incontrasse gravi difficoltà finanziarie ciò potrebbe impattare negativamente sul valore dei CCT. In generale, comunque, il rischio di insolvenza dello Stato Italiano è considerato molto ridotto nel breve-medio termine.

Vi è poi il rischio legato ai tassi di mercato. Se un investitore acquista un CCT e poi decide di venderlo sul mercato prima della scadenza, il prezzo di vendita dipenderà dall’andamento dei tassi in quel momento. Un rialzo dei tassi rispetto alle attese passate farà scendere il prezzo di mercato del CCT, causando una perdita in conto capitale per chi vende. Ad esempio, come notano alcuni analisti, negli anni recenti (con tassi molto bassi) i CCT erano quotati sopra la pari​: questo significa che chi li avesse acquistati li avrebbe venduti a scadenza a un prezzo inferiore al prezzo d’acquisto, annullando parte del rendimento delle cedole. Al contrario, se i tassi dovessero scendere in futuro, il prezzo di mercato salirebbe producendo plusvalenze.

Un rischio peculiare dei CCT è che in periodi di tassi storicamente bassi, come quelli degli ultimi anni, il rendimento effettivo netto può risultare vicino allo zero. Come osserva una fonte specializzata, “investire in CCT significa ottenere, oggi, un rendimento nullo” a causa dello scenario di bassi tassi di interesse​. È vero che a differenza dei BTP i CCT si aggiustano al rialzo, ma ciò non aiuta chi cerca un rendimento certo nel breve termine. In pratica, un investitore che compra un CCT oggi può ritrovarsi con cedole che appena compensano l’inflazione o a volte neanche quelle, fino a quando i tassi non risalgono. Bisogna pertanto essere pazienti e guardare al lungo termine: i guadagni reali arriveranno solo se e quando i tassi di mercato saliranno davvero.

Infine, i CCT non offrono protezione reale dall’inflazione. Le cedole variano con l’Euribor, che a sua volta risente delle decisioni di politica monetaria e non direttamente dell’indice dei prezzi. Se l’inflazione resta elevata a fronte di tassi bloccati, il rendimento reale (tasso netto d’inflazione) potrebbe essere negativo. In sintesi, i rischi principali sono legati al tasso (volatilità del prezzo), al credito e al contesto di tassi di interesse.

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CCT nel debito pubblico italiano e confronto con altri titoli di Stato

CCT e debito pubblico italiano

I CCT fanno parte del più ampio universo dei titoli di Stato italiani. Il debito pubblico viene finanziato principalmente con BTP (a medio-lungo termine, con cedole fisse), BOT (a breve termine, zero-coupon fino a 12 mesi) e, in misura variabile, CCT. Storicamente, i BTP costituiscono la componente più rilevante del debito a causa delle scadenze pluriennali; i BOT sono utilizzati per la liquidità di breve; i CCT rappresentano la quota a tasso variabile medio-termine. Sebbene oggi i CCT incidano per una parte minore rispetto ai volumi di BTP e BOT, in essi “è racchiusa una parte non indifferente del debito pubblico italiano”​. Questo testimonia quanto lo Stato italiano, pur storicamente orientato ai tassi fissi, abbia fatto ampio ricorso anche agli strumenti a tasso variabile per diversificare le scadenze del debito.

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Dal punto di vista dell’evoluzione storica, si può osservare che i CCT sono stati progressivamente affiancati ai titoli a tasso fisso con emissioni regolari. In anni recenti le condizioni di mercato (tassi bassi o negativi) hanno ridotto la quota emessa rispetto a qualche decennio fa, ma i CCT restano un pilastro della finanza pubblica. Nei documenti ufficiali (Rapporto sul debito pubblico) si evidenzia che la composizione del debito varii con le scelte di politica economica, ma i CCT rimangono lo strumento di riferimento per quella parte di debito a tasso variabile.

Confronto con BTP e BOT

I CCT vanno visti nel confronto diretto con gli altri titoli di Stato più noti. Rispetto ai BOT, che sono titoli a brevissimo termine (tipicamente 3, 6, 12 mesi) e senza cedola (venduti a sconto), i CCT offrono durata molto più lunga e cedole periodiche. Un BOT dà all’investitore un rendimento solo alla scadenza, pari alla differenza tra prezzo di acquisto e 100 a fine anno; i CCT invece pagano interessi semestrali. Negli ultimi anni i rendimenti dei BOT si sono aggirati nell’ordine del 2-3% per durate di un anno​. Ad esempio, nell’asta di aprile 2025 i BOT a 365 giorni hanno reso mediamente il 2,122%​. Questo è tipico della liquidità di breve termine. Le obbligazioni CCT a sette anni, invece, offrivano in quel periodo cedole intorno al 3%​, rispecchiando il diverso orizzonte temporale e l’indicizzazione.

Confrontando invece con i BTP, si nota che questi ultimi hanno cedole fisse e scadenze che possono andare fino a 30 anni. Un BTP a 7 anni emesso ad aprile 2025 (scadenza 2032) con cedola fissa del 3,15% aveva un rendimento di mercato pari al 3,30%​. Lo stesso periodo di riferimento vede i CCTeu collocati con cedole annue lorde di circa il 3,3%​. La differenza sostanziale rimane nel meccanismo di adeguamento: i CCT ricalcolano i tassi ogni semestre, i BTP mantengono invariata la cedola per tutta la vita. Chi acquista un BTP chiude il rendimento a tasso fisso, assumendo il rischio di vedere il prezzo oscillare se i tassi cambiano. Chi preferisce i CCT, invece, accetta la variabilità delle cedole ma si protegge (anche se parzialmente) da un rialzo dei tassi futuri.

In termini di profilo di rischio-rendimento, si può dire che i BOT servono per parcheggiare liquidità a breve termine, i CCT per coprire il segmento medio-term, e i BTP per i piani a lungo termine. Un investitore può distribuirvi il proprio risparmio in base alle proprie esigenze di liquidità, tolleranza al rischio e aspettative sui tassi: ad esempio, chi prevede tassi in rialzo potrebbe sovrappesare i CCT nella propria allocazione obbligazionaria, mentre chi desidera cedole certe indipendenti dal ciclo economico punterà sui BTP.

CCT nei diversi contesti economici e nella strategia di portafoglio

CCT, inflazione e tassi BCE

L’interesse degli investitori verso i CCT è fortemente influenzato dal contesto macroeconomico. In particolare, l’inflazione elevata spinge le banche centrali ad alzare i tassi di interesse. Dal 2022 in poi, l’aumento dell’inflazione nell’Eurozona ha indotto la BCE a rialzare ripetutamente i tassi chiave, provocando un rapido balzo dell’Euribor a 6 mesi (da valori negativi a plusvalori intorno al 3-4%). Questa dinamica ha reso nuovamente attraenti i CCT: cedole che un anno fa erano prossime a zero oggi hanno superato il 3% lordo annuo​. In altre parole, quando i tassi monetari salgono, i CCT adeguano subito i loro rendimenti, garantendo guadagni correnti più elevati.

In uno scenario inflazionistico, i CCT offrono quindi una protezione indiretta rispetto ai titoli a tasso fisso. Se il carovita rimane alto e la BCE alza ancora i tassi, chi ha investito in CCT comincerà a percepire cedole significativamente maggiorate. Naturalmente, questa non è una protezione totale: l’inflazione può erodere il valore reale dei rendimenti stessi. Ma rispetto a un BTP fisso, il CCT risente meno delle perdite di potere d’acquisto se i tassi salgono come conseguenza della stessa inflazione. Viceversa, in un contesto di tassi molto bassi o decrescenti, il CCT rende poco, mentre un BTP o un BOT emesso in passato garantirà un interesse prefissato.

CCT in un portafoglio di investimento

Nella costruzione di un portafoglio di investimenti, i CCT trovano generalmente spazio nella componente obbligazionaria di medio termine. Non sono strumenti puramente sicuri come i BOT (che sono infatti considerati “cash equivalent” a breve termine), ma nemmeno molto speculativi. Warren Buffett suggerisce da sempre di non tentare di quotarsi sui movimenti brevi di mercato, bensì di valutare il merito dell’emittente sul lungo periodo. Trasferendo questo concetto ai CCT: l’investitore deve guardare alla capacità dello Stato di onorare il debito in 7 anni, piuttosto che alla possibile oscillazione di prezzo fra qualche settimana.

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A livello pratico, un risparmiatore che adotti una strategia di lungo termine (ad esempio un orizzonte di 5-10 anni) può includere una quota di CCT per bilanciare i rischi con quelli di altri titoli. Ad esempio, con un portafoglio “barbell” (bilanciere), si potrebbero detenere sia BOT a breve (per la liquidità immediata) che BTP a lungo (per cedole stabili) e completare con CCT a medio termine che aggiustano i rendimenti. In alternativa, in un portafoglio total bond di durata media, sostituire parte dei BTP con CCT può ridurre il rischio di tasso complessivo quando si pensa che i tassi saliranno. In ogni caso, l’inclusione dei CCT dovrebbe tenere conto delle proprie esigenze di reddito periodico: le cedole ogni sei mesi forniscono flusso di cassa regolare, utile per reinvestimenti o coprire spese future.

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Domanda dei risparmiatori in diversi scenari economici

Gli investitori italiani hanno mostrato negli ultimi anni un interesse altalenante per i CCT in base ai contesti economici. Durante la lunga fase di tassi bassissimi (2014-2021) i CCT offrivano rendimenti molto bassi e l’appeal verso queste obbligazioni diminuì, preferendo talvolta conti di deposito o fondi alternativi. Al contrario, con il recente giro di vite monetario della BCE, molti risparmiatori stanno tornando a valutare i CCT come alternativa poco rischiosa, poiché oggi garantiscono cedole intorno al 3% lordo​.

In un contesto di inflazione crescente, alcuni consulenti finanziari consigliano ai clienti di ridurre l’esposizione verso titoli a tasso fisso e considerare strumenti indicizzati o variabili. In questo senso, i CCT sembrano tornare utili come buffer obbligazionario: mantengono il capitale protetto sul breve periodo (perché a tasso variabile) e offrono guadagni superiori a quelli di BOT oppure di obbligazioni liquide che ancora pagano poco. Naturalmente, l’appetibilità dei CCT dipende anche dal confronto con alternative come i BTP a cedola fissa (che oggi rendono cifre simili, come mostrano le aste recenti​) o i conti di risparmio, e infine dal profilo di rischio dell’investitore.

Esempi concreti e dati aggiornati

Per meglio comprendere come i CCT vengono offerti oggi, consideriamo alcuni dati reali. Secondo i comunicati della Banca d’Italia, nel aprile 2025 le cedole lorde annue dei CCTeu di nuova emissione si aggiravano attorno al 3%. Ad esempio, il CCTeu emesso il 15 aprile 2023 (codice ISIN IT0005554982) che paga cedole a partire dal 15 aprile 2025 offre un tasso annuo lordo del 3,394%​. Ciò significa che chi detiene questo titolo dal 15/10/2024 al 15/04/2025 riceverà circa 1,725% di cedola semestrale (pari a 17,25 euro lordi ogni 1.000 euro nominali)​. Dopo le tasse al 12,5%, il guadagno netto di questo semestre sarà dunque circa 15,07 euro.

A titolo di confronto, sempre a fine aprile 2025 i BOT con scadenza a un anno rendevano circa il 2,12% lordo annuo​, mentre, come visto, i BTP a sette anni avevano un rendimento lordo del 3,30%​. Questo scenario conferma che i CCTeu di recente collocamento si collocavano in modo competitivo sia rispetto al breve termine che al medio-lungo termine, offrendo un tasso leggermente superiore ai BOT ma simile ai BTP di pari durata.

Nel lungo termine un investitore che avesse acquistato un CCT al 100% del valore nominale e lo avesse tenuto in portafoglio fino alla scadenza, incasserebbe tutte le cedole semestrali indicate più il rimborso di 100% a fine periodo. Il rendimento effettivo in tale caso sarebbe appunto circa il 3,3% lordo annuo. Se invece un altro investitore decide oggi di acquistare un CCT già in circolazione (ad esempio attraverso il MOT), dovrà considerare il prezzo corrente di mercato. In passato recente abbiamo visto quotazioni superiori al 100: ad esempio, alla fine del 2021 un CCT con scadenza aprile 2025 era quotato intorno a 102,70. In quel caso, come riporta un’analisi di mercato, il rendimento netto risultava sostanzialmente pari a zero​, nonostante la cedola attiva. Ciò dimostra come il prezzo pagato influenzi notevolmente il rendimento finale; chi acquista sopra la pari otterrà minori profitti a scadenza, mentre un prezzo sotto la pari produrrà un guadagno addizionale sul capitale alla scadenza.

Conclusioni

I Certificati di Credito del Tesoro sono strumenti di debito pubblico italiani a tasso variabile, ideali per chi cerca stabilità di capitale e protezione contro il rialzo dei tassi sul lungo periodo. Presentano caratteristiche intermedie tra i BOT a breve termine e i BTP a lungo termine, offrendo cedole semestrali variabili indicizzate all’Euribor. Dal 2010 sono emessi quasi esclusivamente come CCTeu (con indicizzazione all’Euribor 6 mesi). Sono collocati in aste mensili dalla Banca d’Italia e godono di una tassazione agevolata del 12,5% sui rendimenti​.

Dal punto di vista dell’investitore orientato al lungo termine, i CCT possono svolgere una funzione difensiva nel portafoglio obbligazionario: permettono di partecipare agli eventuali rialzi dei tassi di interesse garantendo un flusso di cedole crescente, pur mantenendo a scadenza un rimborso integrale del capitale. Vantano inoltre liquidità e tagli minimi accessibili. Tuttavia, l’investitore deve essere consapevole dei rischi: in contesti di tassi bassi il rendimento netto può risultare modesto o quasi nullo​, e vendere prima della scadenza può comportare perdite di capitale se i tassi salgono successivamente. Per questo motivo è fondamentale adottare un orizzonte temporale adeguato (tipicamente sette anni) e valutare il proprio profilo di rischio.

Come suggerirebbe Warren Buffett, è utile valutare i CCT guardando non alle fluttuazioni di prezzo di breve periodo, ma alla solida capacità dello Stato di rimborsare il debito nel lungo termine. Se il quadro macroeconomico supporta tassi alti o variabili (ad esempio in caso di inflazione persistente), i CCT possono essere una scelta sensata per il risparmiatore paziente. Rimane comunque importante analizzare il proprio portafoglio nel complesso e mantenere un’allocazione bilanciata tra titoli a tasso fisso, variabile e a breve termine, tenendo sempre presente l’orizzonte di investimento.

About the Author: Luca Spinelli

Fondatore e direttore di consulente-finanziario.org, Luca Spinelli è un consulente finanziario indipendente. Specializzato in pianificazione finanziaria e gestione di portafoglio, è appassionato di educazione finanziaria e si dedica a fornire consigli trasparenti ma soprattutto indipendenti per aiutare i lettori a prendere decisioni informate. Con uno stile diretto ed accessibile, Luca rende semplici anche i temi più complessi, garantendo sempre la massima attenzione alle esigenze dei suoi clienti e lettori.

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