La guerra dei dazi: un nuovo capitolo tra Stati Uniti e Cina
La rivalità economica tra Stati Uniti e Cina ha raggiunto un nuovo livello con la recente decisione di Pechino di bloccare le consegne dei nuovi aerei Boeing. Una misura che si inserisce nel contesto della guerra commerciale rilanciata dal presidente americano Donald Trump, il quale ha imposto dazi su una vasta gamma di beni provenienti dalla Cina, con tariffe che arrivano fino al 145%. Il segnale è chiaro: si torna a un confronto diretto in cui le armi non sono militari, ma economiche, e l’obiettivo è ridisegnare gli equilibri globali della produzione, della tecnologia e dei capitali.
Trump ha ribadito il proprio sostegno a quelle aziende che decidono di trasferire la loro produzione negli Stati Uniti, promettendo autorizzazioni rapide e un contesto favorevole. L’investimento annunciato da Nvidia, pari a 500 miliardi di dollari, per la costruzione di supercomputer nel Paese è il simbolo di questa nuova fase industriale americana. Ma dietro questi annunci si celano tensioni profonde che rischiano di coinvolgere non solo le due superpotenze, ma anche Europa, Asia e le economie emergenti.
La Cina si muove in risposta
Xi Jinping ha avviato un tour nel sud-est asiatico che tocca Vietnam, Malesia e Cambogia, con l’intento di rafforzare i legami economici della Cina con i Paesi dell’Asean. Il blocco delle consegne di Boeing e delle esportazioni di terre rare pesanti e magneti è solo l’ultima dimostrazione di come Pechino intenda rispondere colpo su colpo alle provocazioni di Washington. Le terre rare sono fondamentali per l’industria della difesa, per l’automotive elettrico e per l’elettronica avanzata: una mossa che non solo mira a colpire le catene produttive statunitensi, ma che fa tremare anche l’Europa e il Giappone, entrambi altamente dipendenti da questi materiali.
Il sistema di licenze introdotto dal governo cinese per le esportazioni di questi componenti strategici rischia di rallentare gravemente i processi industriali globali. La Cina produce il 99% delle terre rare pesanti e il 90% dei magneti ad alta potenza. Chi controlla questi elementi ha un enorme potere sulla catena del valore globale. È evidente che Xi non sta semplicemente rispondendo a Trump: sta cercando di ridefinire la centralità della Cina nel commercio mondiale.
L’Unione Europea tra due fuochi
La posizione di Bruxelles
Il commissario europeo al Commercio, Maros Sefcovic, ha tentato di gettare acqua sul fuoco, proponendo agli Stati Uniti un patto commerciale basato sulla reciprocità e sulla riduzione delle tariffe su tutti i beni industriali, comprese le automobili. Una proposta che riflette la volontà europea di evitare di essere travolta dalla guerra commerciale tra Washington e Pechino. Ma i margini di manovra sono stretti. La Commissione ha chiarito che saranno necessari sforzi significativi per arrivare a un’intesa. Per ora, l’Europa può solo sperare che gli Stati Uniti decidano di trattare, piuttosto che continuare a rincarare la dose con nuove misure tariffarie.
Il portavoce Olof Gill ha parlato di “dialogo produttivo” ma ha sottolineato che gli Stati Uniti devono ancora chiarire la propria posizione. La finestra dei 90 giorni per arrivare a un accordo scade presto, e la pressione sulle istituzioni europee cresce. Non si tratta solo di dazi, ma di come salvaguardare la competitività dell’industria europea in uno scenario sempre più protezionista.
La minaccia dell’invasione commerciale asiatica
Adolfo Urso, ministro italiano delle Imprese e del Made in Italy, ha messo in guardia contro il rischio di un’invasione anomala di prodotti asiatici in Europa. La sovrapproduzione cinese che non può più accedere al mercato americano potrebbe riversarsi sul Vecchio Continente. Questo scenario potrebbe danneggiare gravemente il tessuto industriale europeo, soprattutto in settori come l’acciaio, l’automotive e l’elettronica. Urso ha chiesto alla Commissione europea di predisporre misure di salvaguardia. L’Europa non può permettersi di essere il terreno su cui si scaricano le tensioni tra Cina e Stati Uniti. Serve una strategia autonoma, capace di difendere le proprie filiere produttive e di valorizzare l’identità industriale del continente.
Il fronte delle economie emergenti
Il rapporto dell’ONU sui rischi per i Paesi più poveri
L’agenzia delle Nazioni Unite per il commercio e lo sviluppo ha lanciato un allarme. I dazi reciproci tra Stati Uniti e Cina, estesi a 57 Paesi, rischiano di danneggiare gravemente le economie più vulnerabili. Angola, Vanuatu, Madagascar, Ghana, Costa d’Avorio: sono solo alcuni degli Stati che potrebbero essere colpiti da tariffe ingiustificate. Molti di questi Paesi esportano materie prime e prodotti agricoli che gli Stati Uniti non producono, come la vaniglia o il cacao. Tassare queste importazioni significherebbe soltanto aumentare i prezzi per i consumatori americani, senza apportare alcun reale beneficio al bilancio federale.
Il dato più significativo è che 36 dei 57 Paesi coinvolti genererebbero, anche con le nuove tariffe, meno dell’1% delle attuali entrate doganali degli Stati Uniti. Si tratta dunque di una misura che ha più un valore simbolico che economico, ma che rischia di produrre conseguenze drammatiche nei Paesi esportatori. È una guerra che colpisce i più deboli, senza risolvere i problemi strutturali del deficit commerciale americano.
Un nuovo patto anglosassone?
L’apertura degli Stati Uniti alla Gran Bretagna
Nel mezzo di questo caos commerciale, emergono segnali di distensione in direzioni selezionate. JD Vance, vicepresidente degli Stati Uniti, ha dichiarato che Washington è pronta a siglare un accordo commerciale bilaterale con il Regno Unito che elimini tutti i dazi tra le due sponde dell’Atlantico. Un gesto che ha una forte valenza simbolica e strategica. Non si tratta solo di commercio: si tratta di riaffermare l’alleanza anglosassone come asse centrale dell’economia globale.
Vance ha parlato di affinità culturale, di un legame profondo, di un rapporto privilegiato. Trump, dal canto suo, ha espresso il proprio affetto per la monarchia britannica e per il popolo del Regno Unito. È una narrazione che si rifà a un passato idealizzato, ma che punta a un futuro in cui Stati Uniti e Gran Bretagna collaborano per ridisegnare gli standard commerciali e industriali globali, al di fuori delle dinamiche continentali europee.
La strategia americana: flessibilità senza concessioni
Permessi rapidi e investimenti record
Trump continua a presentarsi come il garante della rinascita industriale americana. L’annuncio che Nvidia realizzerà negli Stati Uniti un’infrastruttura da 500 miliardi di dollari per l’intelligenza artificiale è stato accolto come un trionfo. Il presidente ha promesso che tutte le autorizzazioni saranno rilasciate in tempi rapidi. È una promessa che parla direttamente alle aziende: chi investe in America avrà corsie preferenziali, sgravi, sostegno politico.
Ma dietro queste aperture si cela una linea dura. Trump ha ribadito che non cambierà idea sui dazi, anche se si è detto flessibile. La flessibilità, in questo caso, non significa cedere, ma sapere quando colpire e quando ritirarsi per ottenere il massimo vantaggio.
La Cina si rafforza con l’Asean
Un nuovo blocco economico regionale
La visita di Xi Jinping in Malesia è un segnale forte. La Cina vuole stringere un accordo di libero scambio con l’Asean, che preveda l’abbattimento totale delle tariffe tra i Paesi del blocco. È una mossa strategica per controbilanciare l’isolamento americano. Mentre Washington alza muri doganali, Pechino costruisce ponti. La Malesia, attuale presidente dell’Asean, ospita diversi progetti della Belt and Road Initiative. La Cina è il principale partner commerciale della regione, e punta a consolidare questa posizione.
L’obiettivo è chiaro: rafforzare le proprie reti economiche regionali per compensare eventuali perdite nel mercato americano. L’idea è quella di creare una piattaforma commerciale alternativa, basata su una visione asiatica della globalizzazione, in cui la Cina sia il perno e non solo un attore.
Prospettive future
Un accordo possibile ma lontano
Scott Bessent, segretario al Tesoro degli Stati Uniti, ha lasciato intendere che un grande accordo con la Cina è ancora possibile. Ma ha anche ammesso che potrebbe non accadere. Il disaccoppiamento tra le due economie è un rischio concreto, anche se non auspicato. I vantaggi di una collaborazione sono evidenti, ma le condizioni politiche attuali non sembrano favorire una riconciliazione a breve termine.
L’Europa intanto resta in bilico, divisa tra l’alleanza storica con gli Stati Uniti e la necessità di difendere la propria autonomia economica. I Paesi emergenti osservano con preoccupazione una guerra commerciale che potrebbe trascinarli nel baratro. E le imprese globali, da Boeing a Tesla, da Nvidia a BYD, devono ripensare strategie e catene di approvvigionamento in un mondo sempre più incerto.
Non è ancora chiaro chi uscirà vincitore da questo braccio di ferro. Ma una cosa è certa: chi saprà adattarsi più in fretta, chi saprà leggere prima degli altri le nuove regole del gioco, avrà un vantaggio competitivo decisivo.
CONSULENTE FINANZIARIO
Cerchi un consulente finanziario indipendente? Contattami subito per una consulenza finanziaria indipendente e personalizzata, studiata per aiutarti a gestire al meglio investimenti, risparmi e pensione.